lunedì 9 gennaio 2012

In vino veritas

Tu devi fidarti di me!

E i profumi della carne che rosola sul fuoco, delle spezie e degli asparagi si diffondono in tutta la cucina.
Mi muovo tra i fornelli e penso a quante volte ho cucinato per lei. Ripenso a quante cene ci siamo goduti ridendo e scherzando. Quante volte ci siamo guardati con la convinzione che tutto questo non dovesse mai finire.

Tu adesso mi devi ascoltare!

E spengo il fornello grande mentre continuo a ripetermi tutto quello che ho da dirle. Me lo ripeto come fosse un copione, una poesia da recitare a scuola, a voce alta, davanti tutta la classe.
E per un attimo me lo auguro.
Valuto e soppeso ogni parola. L’ultima cosa che voglio è farla soffrire. Si tratta, a questo punto, di onestà. E lei la mia onestà la merita.
Continuo a ripetermi tutte quelle frasi che, fin d’ora, sono certo non sarò in grado di dirle nello stesso modo in cui le sto dicendo al branzino.
Mettiti comoda.
Ascoltami.
Devo dirti una cosa.
E come dovrei dirglielo? Come dovrei dirle che la nostra storia, dopo cinque anni, da stasera sarà solo un ricordo?
Come dovrei dirle che quello che c’è stato tra di noi è acqua passata?
L’aroma dell’olio nuovo si spande in cucina e accompagna il profumo dell’aglio. Sfumo con un goccio di vino bianco che evapora in una morbida nuvola alcolica che arriva fino al soffitto.
Poi il campanello. Il campanello che adesso mi suona con un riverbero cupo e ostile, come una campana funeraria o il segnale per l’esecuzione verso la quale mi dirigo.
La tavola apparecchiata con nessun elemento romantico a compromettere tutto. Niente candele o luci soffuse. Niente incenso. Niente segnali destabilizzanti. Niente che possa far pensare ad una serata romantica.
Francesca entra e non mi è mai sembrata più bella di stasera.
Cominciamo male, mi dico.
La osservo bene. La sua, stasera, è una bellezza triste, sconsolata. È come se sapesse. È come se la sua anima intuisse l’imminente dolore che sto per infliggerle. Lo vedo nei suoi occhi.
I nostri sono sorrisi malinconici. La sera di un addio non potrebbe essere diversa.
Le nostre voci celano qualcosa che non riusciamo a nascondere poi così bene neanche a noi stessi.
Entrambi sappiamo, in qualche strano modo, ma scegliamo di fingere e andare avanti.
Forse è bene parlarne adesso!
Mi scopro incapace di dire ciò che dovrei.
Prendo il suo soprabito e la faccio accomodare.
I suoi occhi lucidi mi guardano come se mi chiedessero pietà e implorassero il colpo di grazia adesso.
Facciamola finita!, sembrano dire.
Un colpo secco e via, senza indugiare oltre!
Ma non ce la faccio.
Stappo una bottiglia di Nero D’Avola e un aroma fruttato e deciso si sposa deliziosamente col profumo delle portate ancora in cucina.
Verso due bicchieri di quel vino dal colore intenso, scuro. Lo lasciamo respirare qualche minuto mentre non posso fare a meno di guardarla. Poi è lei che rompe quel silenzio che sta diventando una tortura.
Mi rendo conto di essere paralizzato. Sono incapace di prendere in mano la situazione e fare quello che va fatto.
E allora ascolto.
Ascolto la sua voce che trema leggermente mentre mi chiede se vada tutto bene.

-Oh si, certo. Tutto bene. Oggi ho avuto tre riunioni e sono solo un po’ stanco, le dico sorridendo.

Francesca appoggia il bicchiere sul tavolo e mi chiede se non sia il caso di rimandare. E lo dice con una voce carica di un’emozione che mi sembra spropositata, con un tono che mi sembra quasi di supplica.
Ed è allora che mi rendo conto che davvero teme qualcosa.
È allora che mi ordino di farla finita e mentre sorseggio il vino metto assieme il coraggio necessario.
Tre, due, uno…
E anche adesso non ci riesco.
Mi limito a dire: non fa niente. Sto bene. Davvero.
E mi accorgo di quanto sia delusa lei. E vedo, è come se mi vedessi da fuori, quanto riesco ad essere patetico e debole e incapace!
I nostri bicchieri sono vuoti e io li riempio mentre assaggiamo le tartine con paté di olive nere. Dopo il secondo bicchiere Francesca ha un colorito roseo e delicato.
Prima della carne, siamo al terzo.
Mi viene in mente quella volta in cui siamo stati in quell’agriturismo fuori città.
Era la nostra prima gita. La prima volta che lasciavamo tutto e tutti per stare assieme. Solo io e lei.
È stato una vita fa.
Dopo il quarto bicchiere la bottiglia è finita. Un piacevole senso di calore mi pervade. Mi sento più disteso e più tranquillo. Sono più determinato, adesso.

Adesso mi devi ascoltare, Fra’.

Lo penso ma non lo dico. Quel senso di sicurezza mi permette di rimandare ancora un po’, senza troppi sensi di colpa, a dopo la cena.

Anche lei adesso sembra più serena.
Stappo una seconda bottiglia che accompagna la carne e gli asparagi.
Beviamo e tutto sembra diverso. Per un attimo mi balena in testa un pensiero fulmineo che vorrei ricacciare dentro. Invece quel pensiero rimane a turbinarmi nella mente. Forse sto correndo troppo. Forse sono stato troppo precipitoso e non ho pensato a tutto nel modo in cui avrei dovuto.
Dopo tutto stiamo così bene insieme! Magari si tratta solamente di un periodo. Una piccola tormenta nel nostro rapporto.
Qualcosa di passeggero.

Si, il mio lavoro, gli impegni, lo stress, i ritmi infernali di una vita sempre di corsa.
Lei è stata la valvola di sfogo per tutto questo.
Solo adesso me ne rendo conto.
Adesso il gusto delle cose è diverso. Più vivo, penetrante.
La seconda bottiglia è ormai vuota e la cena finita.
Francesca la vedo distesa, più distesa di un’ora mezza fa.
I suoi occhi mi rivelano tutta la sua bellezza. Una bellezza che mi sembra di riconoscere e riassaporare dopo un’eternità passata a dimenticarla.

È in questo preciso istante che decido di dimenticare tutto. Tutti i castelli che avevo costruito in aria li sto demolendo.
Uno ad uno.
E dentro sto ridendo e urlando per la gioia di un amore ed un entusiasmo ritrovato. Tutte quelle assurde fantasie insensate, frutto di qualcosa che non riuscivo ad affrontare, adesso scompariranno. Lo supererò.
Io e lei torneremo ad essere quelli di prima.
Per festeggiare prendo la terza bottiglia. Adesso lo scintillio del liquido rosso nei bicchieri è così brillante che sembra emettere luce propria, come una stella.
I suoi occhi che si fermano su di me e mi scrutano a fondo.
Mi guardano nell’anima ed io lascio che lo facciano, come un tempo.
Poi il suono dolce della sua voce.
Le sue labbra che ricordano la sfumatura del vino che stiamo bevendo.
La sua voce calda, dolce che mi dice: devo dirti una cosa.

-Cosa?, chiedo io euforico, mentre verso il vino e ritrovo un’allegria frizzante.

-È tutta la sera che cerco un modo di dirtelo-, fa lei, -ma solo adesso trovo il coraggio di farlo.

E poi: mi dispiace ma è finita.

Adesso il suono della sua voce diventa plastico.
Diventa sordo, distante.
Io sono intontito. E non certo a causa del vino.

Le lacrime che le scendono sul viso.
Lei che si alza ed io che la seguo con lo sguardo.
Non dico una parola.
Con gli occhi la seguo fino alla porta e la vedo scomparire fuori dal mio appartamento.
E non so se crederci, se piangere o ridere.

Poi mi verso un ultimo bicchiere.

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